3 dicembre
I Domenica di Avvento

Vegliate operosi per la venuta del Signore, il Redentore

Is 63,16b-17.19b; 64,2-7
Sal 79
1 Cor 1,3-9
Mc 13,33-37

Nella prima domenica di Avvento, che inaugura anche il nuovo anno liturgico, la Liturgia della Parola presenta la comunità credente immersa nella duplice venuta del Signore. La comunità, camminando nella storia tra la prima venuta del Messia e l’attesa della parusia, la sua manifestazione gloriosa, eleva l’invocazione per la venuta del Signore così da estinguere ogni lontananza dal Padre. A sua volta, la comunità è esortata a vegliare operosa per il Regno, con i beni messianici della Parola e della conoscenza di Dio nella sua fedeltà.

Nei detti profetici dal libro di Isaia, nella prima lettura, risuona il grido e la supplica collettiva al Signore perchè intervenga come Padre e Redentore. La situazione è quella di una comunità che, vittima delle proprie colpe e ribellioni, vaga lontano da Dio, umiliata dai suoi avversari. La distruzione, che nella storia ha preso forma nella profanazione del tempio e nella fine di Gerusalemme, appare una conseguenza della ribellione del popolo a Dio da lungo tempo. Sovrastata dalla devastazione, la comunità confessa la colpa, riconosce davanti a Dio di essersi lasciata andare al peccato, all’idolatria: Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; (Is 64,6), con la conseguenza di ritrovarsi in balia delle proprie iniquità e dell’impurità, condizione che impedisce di avvicinarsi a Dio: come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia (Is 64,5).

È da questa insopportabile miseria e desolazione che si eleva l’appello per la redenzione. Solo la potenza del Signore può liberare il popolo dal cuore indurito, perchè ha rifiutato la parola divina, e può rigenerarlo per camminare nelle vie di Dio. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! (Is 63,19) L’espressione, che richiama il linguaggio teofanico, fa appello al Signore perchè, con la sua venuta, rinnovi la vittoria sui nemici. Questo inaudito prodigio della salvezza divina, infatti, non è una rivelazione che rimane nel passato, ma è un evento che il Signore realizza di continuo nella storia per coloro che confidano in lui. La comunità smarrita invoca aiuto volgendosi a Dio con vigorosa fiducia, nel riconoscimento della potenza salvifica di Dio: Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore (Is 63,16). La comunità riconosce Dio come Padre che l’ha generata e per questo è anche il Redentore, colui che solo può ridare forma alla sua opera, al suo popolo: Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. (Is 64,7). Questa fiducia e invocazione rendono possibile il perdono da parte di Dio che anche dalle macerie può far rinascere e che da qualsiasi lontananza può riportare nella bontà della sua vicinanza.

La supplica per la salvezza e per la rinnovata vita con Dio prosegue nell’implorazione del Sal 79: Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi. In questo caso l’invocazione per la vicinanza e presenza divina si sviluppa attraverso due immagini: quella di Dio pastore di Israele, titolo che sottolinea la regalità divina, mite e fonte di sicurezza (cf. Sal 23), e quella di Israele come vite e vigna che Dio ha piantato, e che è stata gravemente devastata (cf. Is 5,1-7). Il fatto che in passato Dio si sia preso cura del suo popolo come “pastore” e “vignaiolo”, anima la fiducia e la speranza che il Signore non verrà mai meno, e da questa riconsiderazione dell’agire divino scaturisce anche l’impegno della comunità per il futuro: Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome (Sal 79,19).

Il Vangelo di Marco propone il passaggio conclusivo del discorso escatologico sulla parusia, il ritorno del Signore glorioso. L’accento è parenetico con la triplice esortazione per la comunità: Vegliate!

Non sono date indicazioni sulla fine, ma si tratta di un insegnamento pratico rivolto ai credenti mediante la parabola di un uomo che, partendo per un viaggio, ha dato potere ai suoi servi e ha affidato un compito a ciascuno di essi. L’insistenza è sull’atteggiamento di vigile e operosa responsabilità custodendo e incrementando ciò che appartiene al padrone della casa. Quando, infatti, egli ritorna si aspetta di trovare i suoi servi svegli, all’opera, impegnati nel loro compito. Tutti sono chiamati a vigilare perchè il Kyrios può ritornare in qualsiasi momento, può venire in modo improvviso, imprevedibile.

La comunità dei discepoli del Messia vive nella tensione storica tra la prima venuta del Messia, con l’evento della redenzione e dell’inaugurazione del Regno di Dio, e il ritorno escatologico e definitivo del Signore glorioso. La comunità dei redenti deve diventare consapevole di dimorare già nella “casa” che è il Regno di Dio, ed è chiamata a collaborare per testimoniare, accrescere e diffondere, a misura d’uomo, i beni messianici. Questa vigilanza responsabile esclude sia il fanatismo fantastico e sensazionale, sia il disimpegno nel mondo storico, bensì rende testimoni svegli e operosi per l’avvento del Regno che trasforma secondo il piano di Dio la storia umana.

Il saluto iniziale di Paolo alla chiesa di Corinto assicura che la comunità cristiana è colma di tutte le ricchezze, non manca di alcun carisma per vivere irreprensibile nell’attesa della manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. In particolare, essa è stata arricchita da Dio con i doni della Parola e della conoscenza, che è conoscenza di Dio, del suo piano di benedizione, della sua fedeltà. Questi doni nutrono e sostengono la comunità per vivere salda, giorno dopo giorno, nella fiducia e nella comunione con il Padre, fondata sulla testimonianza del Messia.