Liturgia delle Ore

III. Il modo di salmodiare

121. Sono possibili svariati modi di eseguire i salmi secondo che lo richiedono il genere letterario, la lunghezza, la lingua, l’esecuzione individuale o collettiva, la partecipazione del popolo. La facoltà di scegliere fra molte soluzioni possibili quella più confacente, giova non poco a far meglio percepire la fragranza spirituale e artistica dei salmi. Questi, infatti, non sono stati ordinati quasi fossero delle semplici quantità di preghiera da far seguire le une alle altre, ma secondo il criterio del contenuto e del carattere specifico di ciascuno di essi.

122. I salmi si cantano o si recitano in modo continuato (cioè in directum), oppure a versetti o strofe in alternanza tra due cori o parti dell’assemblea, o in modo responsoriale. Tutto ciò secondo le diverse usanze confermate dalla tradizione e dall’esperienza.

123. All’inizio di ogni salmo si premetta sempre l’antifona corrispondente, come viene indicato sopra ai nn. 113-120. Si mantenga poi l’uso di concluderlo con il «Gloria al Padre» e il «Come era». Il «Gloria» è infatti una conclusione adatta, convalidata dalla tradizione e tale da conferire alla preghiera dell’Antico Testamento un senso laudativo di carattere cristologico e trinitario. Dopo il salmo, secondo l’opportunità, si ripete l’antifona.

124. Quando si recitano salmi più lunghi, questi nel salterio sono suddivisi in modo da esprimere la struttura ternaria dell’Ora, sempre però nel pieno rispetto della loro reale linea di pensiero. È bene attenersi a questa divisione, specialmente nella celebrazione corale in lingua latina, aggiungendo il «Gloria al Padre» alla fine di ogni sezione. Tuttavia è consentito o mantenere questo modo tradizionale, o interporre una pausa fra le diverse parti del medesimo salmo, o recitare il salmo intero tutto di seguito con la propria antifona.

125. Quando, inoltre, il genere letterario del salmo lo consente, vengono indicate delle divisioni in strofe, in modo che, specialmente se i salmi vengono cantati in una lingua moderna, si possano eseguire intercalando l’antifona dopo ogni strofa; in tal caso è sufficiente aggiungere il «Gloria al Padre» alla fine di tutto il salmo.

 

24 dicembre
IV domenica di Avvento

Il compimento messianico delle promesse in Gesù, Figlio dell’Altissimo

2 Sam 7,1-5.8b-12.14a.16
Sal 88
Rm 16,25-27
Lc 1,26-38

La Liturgia di questa domenica, nell’imminenza del Natale, celebra il compimento della promessa di Dio a Davide nella venuta di Gesù, il Messia che regnerà per sempre e il suo regno non avrà fine.

Nella prima lettura, dal secondo libro di Samuele, risuona la promessa che, secondo la storia della rivelazione, Dio fece a Davide. Nel momento in cui Davide si propone di costruire per il Signore una casa (il tempio), il Signore gli promette di fare per lui una casa (la dinastia). Davide, al culmine della sua ascesa per creare il regno di Israele, non perde di vista Dio, bensì continua a volgersi a Dio con riconoscimento e dedizione. Per questa attenzione persistente di Davide, Dio non solo gli assicura protezione e conferma la riuscita nell’impresa, ma si impegna a rendere la discendenza di Davide e il suo trono stabili per sempre. Il dono è straordinario e particolarmente significativa è la relazione che si instaura tra Dio e il re: io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno per sempre. […] Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio (2 Sam 7,14). L’immagine padre-figlio, da cui scaturisce anche il titolo regale (cf. Sal 2,7; 88,27–28), esprime l’appartenenza familiare che unisce e si deve sviluppare tra il re davidico e Dio. Infatti il re è chiamato al servizio di Dio, come collaboratore nella costruzione del popolo dell’alleanza che realizza gli insegnamenti divini (cf. Dt 17,18-20). Dalla fiducia, cooperazione e sinergia che si instaura tra il re e Dio deriva la manifestazione della stabilità del regno e la grandezza del nome.

Il Sal 88 contiene l’appello, e anche la certezza, che Dio mantiene il suo giuramento e la sua elezione della casa di Davide. Sebbene nella storia ci siano dei discendenti che hanno abbandonato gli insegnamenti di Dio e la ribellione abbia portato questi re alla rovina, Dio rimane fedele alla sua promessa che è per sempre.

Questa promessa divina nel tardo periodo postesilico, quando la restaurazione della monarchia apparve impossibile, fu reinterpretata nel suo compimento messianico. All’interno di questa reinterpretazione il discendente viene riferito al Messia che Dio susciterà, dalla casa di Davide, e il cui regno durerà per sempre (cf. Is 11,1-9). È in questa prospettiva della fedeltà del Signore alla sua promessa, proprio fino al compimento messianico, che la comunità liturgica benedice e acclama: Canterò per sempre l’amore del Signore! (Sal 89,2).

L’iniziativa di Dio per il compimento messianico della promessa davidica è raccontata, dal Vangelo di Luca, nell’annuncio inaudito del messaggero divino, Gabriele, a una donna di Nazareth, di nome Maria, promessa sposa di Giuseppe, un uomo della casa di Davide: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine (Lc 1,30-33).

Luca mette a fuoco l’iniziativa e l’origine divina con l’azione dello Spirito e la potenza dell’Altissimo, e colui che nascerà è riservato per Dio, è santo. L’esistenza di Gesù (il Signore salva) dal suo esordio scaturisce da Dio che lo ha riservato per una missione quella di re Messia, al quale si deve pienamente il titolo regale di Figlio di Dio, che regnerà per sempre e il suo regno sarà duraturo. Dio l’Altissimo, creatore del cielo e della terra e redentore (cf. Gen 14,18–22; Sal 78,35), così coinvolto nelle vicende umane, si avvale della sua potenza per dare vita e agire con sollecitudine per i suoi servi. Ad essi manifesta la sua fedeltà ora alla promessa fatta a Davide, rivelandone il decisivo compimento messianico.

E Maria acconsente, collabora nell’esultanza, si rende disponibile e si mette al servizio del Signore per l’evento teso a rivelare e a stabilire la perenne regalità divina.

La dossologia con la quale si conclude la lettera di Paolo ai Romani, ripresa nella seconda lettura, celebra con solennità la gloria, cioè la presenza di Dio, l’eterno e il solo sapiente. La lode a Dio è per la sua rivelazione del mysterium, che è la rivelazione del piano divino, dischiuso mediante le scritture dei Profeti e che ora è annunciato attraverso il Vangelo di Gesù Cristo a tutti popoli, perché tutti giungano alla fede (Rm 1,5.26). L’avvento del re Messia svela completamente il piano di Dio e inaugura il tempo per cui tutti i popoli saranno raggiunti dall’annuncio della salvezza. La comunità cristiana è pervasa della salvezza messianica. Essa è testimone ed è chiamata, sull’esempio di Davide, di Maria, dei Profeti, della generazione apostolica e protocristiana, a collaborare al piano divino perché si dispieghi, nelle vicende e nelle scelte concrete dell’esistenza e della storia umana, la potenza salvifica della regalità del Signore.

25 dicembre
Natale del Signore

I. Messa Vespertina nella Vigilia
Emmanuele: Dio con noi

Is 62,1-5
Sal 88
At 13,16-17.22-25
Mt 1,1-25

Il detto dal libro di Isaia per la comunità di Gerusalemme, che è stata devastata e dispersa con l’esilio, annuncia lo splendore della salvezza regale di Dio con la forte immagine sponsale. Il Signore, lo Sposo, riprende la sua sposa, la comunità, e trova in lei la delizia e la gioia come nel primo incontro sponsale. La presenza dello Sposo cambia completamente la condizione della comunità. Infatti, non si dirà più di lei che è «l’Abbandonata» o «la Devastata», ma brillerà come un diadema nella mano dello Sposo e sarà conosciuta tra le genti con il nome nuovo di «Mia Gioia» e «Sposata». Questo fulgore è tanto più grande dal momento che rivela la salvezza e la giustizia del Signore, fedele nel suo amore. Egli è capace di rinnovare l’integrità della sposa e il compiacimento sponsale che in precedenza proprio le scelte umane avevano violato e infranto, con conseguenze che sembravano irreparabili. Quando in mezzo alla comunità c’è il Signore allora essa ha un’identità, una consistenza e un futuro di speranza e di gioia, quella che lo Sposo, il Signore, prova per lei come vergine, sposa e madre.

Nella tradizione profetica e poi in quella protocristiana, che ora si riflette nella Liturgia della Parola, questo detto ha ricevuto una reintepretatazione messianica così come il Sal 88, con l’acclamazione della comunità dei redenti che celebra la presenza del Messia: Canterò in eterno l’amore del Signore! Infatti beato è il popolo che ti sa acclamare: camminerà, Signore, alla luce del tuo volto; esulta tutto il giorno nel tuo nome, si esalta nella tua giustizia.

L’inizio del Vangelo di Matteo propone la genealogia di Gesù e il racconto della nascita. L’esordio presenta Gesù, il Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo (Mt 1,1) e in tal modo asserisce che Gesù è il Messia con il quale sono portate a compimento le promesse divine a Davide (cf. 2 Sam 7,1-17) e quelle fatte, ancor prima, ad Abramo (cf. Gen 12,1-3). Inoltre, come «figlio di Abramo» Gesù appare anche il nuovo Isacco, il figlio amato, che dona totalmente se stesso per realizzare la salvezza dai peccati.

La genealogia che segue è una lettura teologica della storia della rivelazione nella quale Dio ha portato avanti il piano della benedizione nelle generazioni di Israele, fino alla comunità che genera il Messia, nella concreta vicenda della «vergine» Maria e di Giuseppe della «casa di Davide», uomo giusto e di fede. Il racconto sottolinea che tutto avviene nel compimento del progetto divino annunciato, scaturisce dall’azione creatrice dello Spirito, e colui che nasce ha una missione liberatrice. Gesù è colui che salverà il suo popolo dai suoi peccati (Mt 1,21) e nel contempo è Emmanuele, che significa Dio con noi (Mt 1,23), Dio presente per sempre nella comunità di coloro che lo riconoscono e acclamano il suo nome, esultando per la sua giustizia e salvezza.

Il passo del discorso di Paolo nella sinagoga di Antiochia, riportato negli Atti degli Apostoli, è una testimonianza del primo annuncio del Vangelo tra i giudei e i timorati di Dio fondato sul fatto che, secondo la promessa fatta a Davide, Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù (At 13,23).

La comunità cristiana celebra la venuta del Messia contemplando la fedeltà di Dio che mantiene e compie le sue promesse a Israele. Gesù, il Cristo è Dio per sempre con noi (Mt 28,20) suoi discepoli perché con lui viviamo e testimoniamo di continuo i beni e i doni della sua venuta.

 

31 dicembre
Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

Rifondazione della famiglia nel tempo del Messia

Gen 15,1-6; 21,1-3
Sal 104
Eb 11,8.11-12.17-19
Lc 2,22-40

La vicenda di Abramo e Sara, richiamata nella prima lettura della Liturgia della Parola, insegna che la famiglia è luogo primario in cui si costruisce la realizzazione umana, ma anche si realizza la rivelazione e il dono di Dio. Per la coppia Abramo e Sara l’aspirazione ad avere un figlio è così intensa al fine di disporre di un futuro e di raggiungere uno sviluppo compiuto della famiglia. E la discendenza e il figlio sono parte anche della promessa di Dio per Abramo, del piano divino in vista della benedizione di tutte le famiglie della terra. Di fatto, il racconto biblico mostra che ad Abramo e Sara è dato di generare quando essi diventano capaci di riconoscere che il figlio è essenzialmente un dono di Dio. Non da se stessi hanno potere nel trasmettere la vita, ma sempre la vita è prima di tutto un dono. Così la riuscita umana, che nella famiglia trova una sua espressione, può raggiungere un esito felice, che persino oltrepassa le attese umane, quando ci si apre alla fiducia in Dio e al suo piano e si diventa capaci di accogliere Dio che visita con i suoi doni di benedizione e fecondità.

Il Sal 104 invita al rendimento di grazie e alla lode del Signore per le meravigliose opere divine; in particolare perché Dio mantiene sempre e porta a compimento le sue promesse. Una dimostrazione concreta per Israele e per tutti i popoli appare nella parola che Dio ha promesso e ha compiuto con Abramo. Per questo si eleva l’esortazione: Gloriatevi del suo santo nome: gioisca il cuore di chi cerca il Signore.

Il Vangelo di Luca presenta la famiglia di Nazareth che secondo la tradizione adempie le prescrizioni divine della Torah con la presentazione di Gesù al Tempio per indicare la sua consacrazione a Dio. Nel Tempio egli riceve la testimonianza profetica di Simeone ed Anna appartenenti a quella comunità di giusti che attendevano la consolazione di Israele, la liberazione da molteplici piccole e grandi oppressioni. Simeone, con un canto di lode, saluta il Messia rivelando la qualità unica della sua missione salvifica che si estende ormai da Israele a tutti i popoli. La salvezza del Messia porta luce alle genti e realizza la gloria di Israele. Altre parole di Simeone sono rivolte a Maria per svelare che il Salvatore è anche «segno di contraddizione», un motivo che adombra l’ostilità e il rifiuto umano fino alla sua morte in croce, e insegna che la gioia per la sua nascita non è separabile dallo sgomento per la sua oltraggiosa riprovazione. Il Messia è segno contestato perché sollecita una presa di posizione umana; egli può portare la salvezza a chi lo accoglie, mentre chi lo rifiuta va incontro alla rovina.

Giuseppe e Maria, il padre e la madre di Gesù, si stupiscono, sono meravigliati per ciò che ascoltano, per l’azione divina di cui prendono consapevolezza mentre dinanzi a loro si va realizzando. Giuseppe e Maria accolgono e si lasciano guidare da Dio e, mentre mettono in pratica gli insegnamenti divini, si rivela come la loro vicenda familiare è rilevante nel piano divino.

Il passo del Vangelo si conclude, infine, con l’annotazione su Gesù, a Nazareth, che cresceva e si fortificava nella sapienza e nella grazia di Dio. Si tratta della sapienza e dell’amore di Dio che crescono in Gesù, formano la sua personalità come ne darà prova lungo tutta la sua missione.

La famiglia di Nazareth si delinea, pertanto, come un prototipo per la famiglia nel popolo messianico, non solo per la costruzione delle relazioni familiari con al centro Dio, ma anche per la comprensione della singola vicenda familiare all’interno del piano divino.

Il passo della Lettera agli Ebrei esalta dapprima la fede di Abramo che partì aderendo all’invito di Dio, poi la fede di Sara che accolse la promessa di Dio di una fecondità straordinaria, e di nuovo la fede di Abramo quando fu messo alla prova offrì il suo figlio Isacco che, secondo le interpretazioni del Targum e del Midrash, a sua volta era consapevole nell’offrire se stesso con fiducia in Dio. In particolare, l’Autore di Ebrei interpreta quest’ultimo atto di Abramo di completa fiducia in Dio, che gli ridonò Isacco, alla luce della fede nella risurrezione. In tal modo è conferita un’ulteriore profondità di lettura nella vicenda di Abramo e, insieme, viene evocata l’offerta e il dono di Dio e del suo Figlio, nuovo Isacco.

La festa della Santa Famiglia in connessione con la solennità del Natale conferisce un’alta considerazione e una rifondazione della famiglia, quale nucleo primario di apprendimento delle relazioni vitali, quale ambito iniziale di realizzazione umana e di conoscenza di Dio, e nel contempo quale immagine forte per parlare, sulla base dell’alleanza, dell’amore familiare di Dio per il suo popolo e fucina per lo sviluppo dell’umanità come famiglia umana nel tempo messianico.

È nel rapporto con il Dio della storia della rivelazione, nella fiducia nel Signore che sempre compie le sue promesse; è nel compimento degli insegnamenti di Dio e nell’apertura al piano divino che la famiglia, ogni famiglia, trova benedizione e grazia, radicandosi nella logica del dono, come Maria e Giuseppe che presentano Gesù nel Tempio, come Abramo che offre Isacco, il figlio della promessa. Questa logica del dono è quella stessa di Dio, il Padre che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio (cf. Gv 3,16), ed è quella del Cristo che amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei (cf. Ef 5,25).

1 gennaio
Maria SS. Madre di Dio

Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore

Nm 6,22-27
Sal 66
Gal 4,4-7
Lc 2,16-21

Nell’ottava del Natale si celebra la festa di «Maria madre di Dio», «per mezzo di lei abbiamo ricevuto l’autore della vita, il Cristo», Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo, lei è «madre del Cristo e di tutta la Chiesa». Questa solennità coincide con l’inizio dell’anno civile e, nello stesso giorno, si celebra anche la giornata della pace che, nel tempo liturgico del Natale, è annunciata nello shalom quale dono messianico per eccellenza.

La prima lettura in questa Liturgia della Parola propone la solenne triplice benedizione sacerdotale, dal libro dei Numeri, nella quale il Signore benedice il suo popolo. Solo Dio può accrescere la vita con la riuscita, l’abbondanza e la felicità, e i sacerdoti nel loro servizio cultuale hanno il privilegio e il compito di benedire Israele. La prima benedizione: Ti benedica il Signore e ti custodisca si riferisce all’agire divino che incrementa la vita secondo le necessità individuali, familiari, sociali, e ne protegge e preserva la prosperità. La seconda benedizione: Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia mediante un linguaggio figurato invoca per ogni persona la conoscenza della sapienza divina nella rivelazione, il riconoscimento della Presenza divina nella creazione e nella storia così da trovare il favore e la benevolenza del Signore. La terza benedizione: Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda shalom (pace) riguarda in particolare l’immenso amore del Signore quale fonte indefettibile di perdono per il suo popolo. Infine, il dono dello shalom (pace) è posto a sigillo delle benedizioni perché senza pace qualsiasi prosperità diventerebbe vana. Lo shalom (pace) è una condizione di completezza per la realizzazione umana, la possibilità di sviluppare l’armonia nel mondo e nella storia.

Il Salmo 66 esprime l’invocazione umana di godere della benedizione divina su tutti i popoli, perché tutta l’umanità riconosca e lodi il Signore per la sua salvezza. Questo avviene nel tempo messianico e, per la comunità cristiana, questo è il dono del Messia che ora è tra di noi.

Nel Vangelo di Luca la narrazione, dapprima, presenta i pastori che adorano, lodano e propagano il lieto annuncio, che avevano ricevuto (cf. Lc 2,10-11) e di cui sono diventati testimoni, dell’avvento della gloria e dello shalom (pace) del Messia. Nel sommario conclusivo è riferito l’atto della circoncisione, segno dell’inserimento nella tradizione di Israele, e occasione per l’imposizione del nome Gesù, il Signore salva.

Il testo, inoltre, contiene una nota particolare su Maria che custodisce queste parole e avvenimenti nel suo cuore (Lc 2,19). Maria, quale icona della comunità credente, è colta nella sua riflessione sul piano di Dio, sulla missione salvifica del Figlio di cui è madre, coinvolta con tutta la sua persona per il compimento della parola divina, e contemporaneamente testimone del mirabile dispiegarsi della redenzione nella concreta storia umana. Così la partecipazione attiva di Maria continua per far crescere in sé e intorno a lei la conoscenza della salvezza messianica del Figlio che viene solo da Dio.

Il passo della lettera di Paolo ai Galati ripercorre la manifestazione del Messia che ha assunto la condizione umana e ha aderito alle prescrizioni dell’insegnamento di Dio, la Torah, per sottolineare che proprio questo itinerario, così determinato nel tempo e nella tradizione di Israele, aveva l’obiettivo di portare anche i gentili nella familiarità del Signore con il popolo dell’alleanza, il suo popolo. Lo scopo è stato raggiunto perché ogni comunità cristiana, per il dono ricevuto dello Spirito del Figlio risorto, può gridare come la comunità protocristiana dei Galati: Abbà! Padre! Per la sola grazia in Cristo Gesù anche i gentili, se ascoltano la parola della fede (cf. Gal 1,5), sono guidati a diventare figli di Dio ed eredi delle promesse e della benedizione divina. Nel tempo messianico, inaugurato da Gesù il Cristo, questa è la sfida aperta per ciascuno, per i popoli e per le generazioni umane: diventare davvero figli di Dio.

6 gennaio
Epifania del Signore

Ti adorano, Signore, tutti i popoli della terra

Is 60,1-6
Sal 71
Ef 3,2-3a.5-6
Mt 2,1-12

La Liturgia della Parola in questa solennità è incentrata sulla manifestazione universale del Messia nell’orizzonte della storia della rivelazione che si sviluppa in Israele e si attua con la redenzione di tutti i popoli. Il detto di salvezza del libro di Isaia annunciava che la comunità di Sion sarebbe diventata luce delle nazioni. Sion rifletterà un tale splendore nel mondo perché su di essa risplenderà il Signore con la sua gloria. Questo mirabile evento, fonte di esultanza, attirerà popoli e re, che usciranno dalle tenebre che li avvolgono. Essi intraprenderanno un pellegrinaggio, portando doni in onore del Signore, per camminare alla luce di Sion, che è la comunità in cui dimora la presenza divina perché vive nel servizio del Signore.

Il detto, che in origine voleva consolare e sostenere la comunità che soffriva per le molteplici difficoltà incontrate nel ritorno dall’esilio, e aveva una prospettiva escatologica, riceve in questa Liturgia una reinterpretazione gioiosa per la luce del Messia che ora brilla sulla comunità dei credenti e attiva il movimento dei popoli per la loro liberazione dalle tenebre. Questa visione viene ulteriormente delineata attraverso il Sal 71. Questo salmo regale contiene l’invocazione a Dio per il successo del re nella sua azione di governo. Esso riflette apertamente una teologia messianica con l’aspirazione che questo re agisca secondo il diritto e la giustizia di Dio, e che il suo regno abbia un’espansione universale, per instaurare la salvezza e lo shalom (la pace) su tutti i popoli. Il mondo sarà così attratto da questo re di giustizia e di pace che i re e le genti gli renderanno omaggio, portandogli doni e tributi, per entrare al suo servizio. L’invocazione si trasforma per la comunità messianica in acclamazione di lode per la presenza del re Messia Gesù, il Salvatore al quale tutti popoli si volgeranno rendendogli onore: Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.

Il Vangelo di Matteo con il racconto dell’adorazione dei Magi coglie la realizzazione dell’annuncio profetico e dell’invocazione di Israele identificando in primo luogo Gesù come il Messia atteso. Egli è nato proprio a Betlemme secondo l’annuncio profetico (Mi 5,1-3), ed è il re promesso, secondo l’elezione divina di Davide (2 Sam 5,2; 1 Cr 11,2), per essere pastore del suo popolo e salvatore del mondo. Nel contempo, il motivo del viaggio dei Magi dall’oriente evoca l’omaggio dei popoli, (come annunciato da Is 60,6; Sal 71,10.15), quale preludio al riconoscimento e alla fede nel Messia da parte dei popoli. I Magi hanno visto spuntare la sua stella, come il profeta straniero Balaam aveva un tempo annunciato tra i gentili, che sarebbe uscita da Israele (Nm 24,17), e la stella era un simbolo messianico. Così i Magi si sono messi in cammino alla sua luce, per adorare il re Messia. Essi, giunti a Gerusalemme, si imbattono nell’ignoranza e nell’avversione di Erode, e nell’immobilismo dei capi dei giudei. Ma i Magi riprendono il loro cammino seguendo la stella che li conduce dal Messia davanti al quale gioiosi si prostrano. I Magi sono delineati come dei saggi, che conoscono la tradizione di Israele, o come dei re che aprono i loro scrigni offrendo: oro, incenso e mirra. Questi doni indicano il riconoscimento della dignità regale, della santità, l’appartenenza al mondo divino, e il suo trionfo attraverso la morte e la risurrezione, per cui Gesù è il Messia, re delle nazioni, Signore di tutti i popoli. Con i Magi la comunità ecclesiale si prostra ad adorare il Signore e testimonia la sua luce, che supera tutte le tenebre umane, perché tutti i popoli si volgano e trovino salvezza e vita nel Messia.

Nel passo della lettera agli Efesini Paolo accredita la sua missione apostolica attestando che «per rivelazione» gli è stato fatto conoscere «il mistero», che è il piano di Dio, e che ora, nel tempo messianico, si è pienamente manifestato. La centralità della rivelazione messianica consiste nel fatto che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo. Nel piano divino Israele era la primizia in vista della benedizione di tutti i popoli. Il Messia ha inaugurato il tempo in cui diventa attuale la salvezza universale e l’inclusione delle genti nel popolo del Signore. La missione di Paolo, l’apostolo che annuncia questo «mistero» perché le genti per mezzo del Vangelo partecipino delle promesse e della salvezza divina, deve continuare in modo instancabile attraverso la comunità messianica.

7 gennaio
Festa del Battesimo del Signore

Tu sei il Figlio mio, l’amato

Is 55,1-11
Is 12,2-6
1 Gv 5,1-9
Mc 1,7-11

Il Battesimo è considerato fin dalla più antica tradizione liturgica la seconda manifestazione del Signore, dopo quella ai Magi, che inaugura la missione del Figlio di Dio.

Il detto profetico dal libro di Isaia si apre con l’invito a quanti sono affamati e assetati di vita a nutrirsi e dissetarsi dei doni che il Signore stesso offre gratuitamente. I beni menzionati (il pane, l’acqua, il vino e il latte) sono una metafora della parola profetica, dell’insegnamento di Dio; infatti l’unica e insostituibile sorgente della pienezza di vita è il Signore con la sua parola. A questo invito segue l’annuncio della realizzazione della promessa divina di un nuovo Davide, il Messia. Dio lo stabilisce come testimone e sovrano sui popoli che accorreranno a Sion per godere dei benefici della salvezza. Rispetto alle perplessità o alla percezione umana di lunghe attese di liberazione nella storia, il Signore afferma l’efficacia della sua parola, che sempre raggiunge lo scopo per cui è mandata come la pioggia e la neve che fecondano la terra. In realtà, la parola che esce dalla bocca del Signore realizza la sua opera efficace di redenzione e di comunione se è ascoltata e accolta, in coloro che cercano e confidano nel Signore.

Il canto responsoriale è un inno di rendimento di grazie proveniente dal libro di Isaia in un contesto profetico che annunciava per il futuro l’avvento del Messia. In questa Liturgia della Parola l’inno diventa il canto di ringraziamento per il Messia presente, perché Dio ha pienamente compiuto la sua promessa, come annunciato nella prima lettura. Nella comunità liturgica, singolarmente e all’unisono, si esprime la realtà e la gioia dell’esperienza della salvezza: mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza. Da questo evento, mentre la comunità dei redenti con gratitudine esulta per i prodigi e acclama per la grandezza del Santo d’Israele, si innalza l’esortazione a proclamare tra i popoli la mirabile opera della salvezza divina.

Il Vangelo narra e celebra la prima manifestazione pubblica di Gesù presso il Giordano, mentre Giovanni battezzava preparando la venuta del Messia. Anche Gesù fu battezzato e quando uscì dall’acqua i cieli si squarciarono per la discesa della Spirito e l’irruzione della voce divina, che identifica Gesù: Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento. In questa dichiarazione ricorrono rilevanti motivi teologici: la filiazione divina richiama l’investitura regale (cf. Sal 2,7) e anche il motivo del figlio amato Isacco che Abramo è chiamato a offrire (cf. Gen 22,2). Inoltre, il tema del compiacimento evoca il beneplacito divino per il profeta, servo del Signore, che animato dallo Spirito sarebbe stato luce per la salvezza di tutti popoli (cf. Is 42,1). Così il battesimo presenta l’investitura messianica di Gesù, il Messia re e profeta, il Figlio amato del Padre, che nel servizio fedele a Dio realizzerà in modo decisivo il dispiegamento universale della salvezza, l’avvento del regno di Dio. Questa straordinaria manifestazione dell’opera del Padre attraverso il suo Figlio, il Messia, otterrà un significativo riconoscimento, fra gli altri, al momento della morte di Gesù, che nel Vangelo di Marco è come un battesimo (cf. Mc 10,38), quando un centurione romano, vistolo spirare, non può fare a meno di esprimere: Davvero quest’uomo era Figlio di Dio! (Mc 15,39).

La festa del Battesimo del Signore richiama anche ciascun credente a rinsaldare la consapevolezza del proprio battesimo che inserisce nella comunione tra il Padre e il Figlio, perché ciascuno investito dalla stessa forza creatrice dello Spirito che comunica la vita nuova per Dio, sia testimone, insieme a tutta la comunità dei redenti, del Messia e prosegua attivamente l’azione messianica nella storia.

Il passo della prima lettera di Giovanni istruisce coloro che per la fede e il battesimo in Gesù, il Cristo e il Figlio di Dio, sono generati da Dio. Essi amano Dio che li ha generati a una vita nuova contraddistinta dall’amore dei fratelli. L’amore di Dio, infatti, orienta ed esige l’amore dei fratelli che è il segno dell’amore concreto, effettivo verso Dio. Questi credenti, la cui fede nel Figlio di Dio ha vinto il mondo, realizzano i comandamenti divini e sono animati dalla testimonianza e dalla forza di vita dello Spirito, e così costituiscono la comunità del Messia e una nuova umanità.

3 dicembre
I Domenica di Avvento

Vegliate operosi per la venuta del Signore, il Redentore

Is 63,16b-17.19b; 64,2-7
Sal 79
1 Cor 1,3-9
Mc 13,33-37

Nella prima domenica di Avvento, che inaugura anche il nuovo anno liturgico, la Liturgia della Parola presenta la comunità credente immersa nella duplice venuta del Signore. La comunità, camminando nella storia tra la prima venuta del Messia e l’attesa della parusia, la sua manifestazione gloriosa, eleva l’invocazione per la venuta del Signore così da estinguere ogni lontananza dal Padre. A sua volta, la comunità è esortata a vegliare operosa per il Regno, con i beni messianici della Parola e della conoscenza di Dio nella sua fedeltà.

Nei detti profetici dal libro di Isaia, nella prima lettura, risuona il grido e la supplica collettiva al Signore perchè intervenga come Padre e Redentore. La situazione è quella di una comunità che, vittima delle proprie colpe e ribellioni, vaga lontano da Dio, umiliata dai suoi avversari. La distruzione, che nella storia ha preso forma nella profanazione del tempio e nella fine di Gerusalemme, appare una conseguenza della ribellione del popolo a Dio da lungo tempo. Sovrastata dalla devastazione, la comunità confessa la colpa, riconosce davanti a Dio di essersi lasciata andare al peccato, all’idolatria: Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; (Is 64,6), con la conseguenza di ritrovarsi in balia delle proprie iniquità e dell’impurità, condizione che impedisce di avvicinarsi a Dio: come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia (Is 64,5).

È da questa insopportabile miseria e desolazione che si eleva l’appello per la redenzione. Solo la potenza del Signore può liberare il popolo dal cuore indurito, perchè ha rifiutato la parola divina, e può rigenerarlo per camminare nelle vie di Dio. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! (Is 63,19) L’espressione, che richiama il linguaggio teofanico, fa appello al Signore perchè, con la sua venuta, rinnovi la vittoria sui nemici. Questo inaudito prodigio della salvezza divina, infatti, non è una rivelazione che rimane nel passato, ma è un evento che il Signore realizza di continuo nella storia per coloro che confidano in lui. La comunità smarrita invoca aiuto volgendosi a Dio con vigorosa fiducia, nel riconoscimento della potenza salvifica di Dio: Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore (Is 63,16). La comunità riconosce Dio come Padre che l’ha generata e per questo è anche il Redentore, colui che solo può ridare forma alla sua opera, al suo popolo: Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. (Is 64,7). Questa fiducia e invocazione rendono possibile il perdono da parte di Dio che anche dalle macerie può far rinascere e che da qualsiasi lontananza può riportare nella bontà della sua vicinanza.

La supplica per la salvezza e per la rinnovata vita con Dio prosegue nell’implorazione del Sal 79: Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi. In questo caso l’invocazione per la vicinanza e presenza divina si sviluppa attraverso due immagini: quella di Dio pastore di Israele, titolo che sottolinea la regalità divina, mite e fonte di sicurezza (cf. Sal 23), e quella di Israele come vite e vigna che Dio ha piantato, e che è stata gravemente devastata (cf. Is 5,1-7). Il fatto che in passato Dio si sia preso cura del suo popolo come “pastore” e “vignaiolo”, anima la fiducia e la speranza che il Signore non verrà mai meno, e da questa riconsiderazione dell’agire divino scaturisce anche l’impegno della comunità per il futuro: Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome (Sal 79,19).

Il Vangelo di Marco propone il passaggio conclusivo del discorso escatologico sulla parusia, il ritorno del Signore glorioso. L’accento è parenetico con la triplice esortazione per la comunità: Vegliate!

Non sono date indicazioni sulla fine, ma si tratta di un insegnamento pratico rivolto ai credenti mediante la parabola di un uomo che, partendo per un viaggio, ha dato potere ai suoi servi e ha affidato un compito a ciascuno di essi. L’insistenza è sull’atteggiamento di vigile e operosa responsabilità custodendo e incrementando ciò che appartiene al padrone della casa. Quando, infatti, egli ritorna si aspetta di trovare i suoi servi svegli, all’opera, impegnati nel loro compito. Tutti sono chiamati a vigilare perchè il Kyrios può ritornare in qualsiasi momento, può venire in modo improvviso, imprevedibile.

La comunità dei discepoli del Messia vive nella tensione storica tra la prima venuta del Messia, con l’evento della redenzione e dell’inaugurazione del Regno di Dio, e il ritorno escatologico e definitivo del Signore glorioso. La comunità dei redenti deve diventare consapevole di dimorare già nella “casa” che è il Regno di Dio, ed è chiamata a collaborare per testimoniare, accrescere e diffondere, a misura d’uomo, i beni messianici. Questa vigilanza responsabile esclude sia il fanatismo fantastico e sensazionale, sia il disimpegno nel mondo storico, bensì rende testimoni svegli e operosi per l’avvento del Regno che trasforma secondo il piano di Dio la storia umana.

Il saluto iniziale di Paolo alla chiesa di Corinto assicura che la comunità cristiana è colma di tutte le ricchezze, non manca di alcun carisma per vivere irreprensibile nell’attesa della manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. In particolare, essa è stata arricchita da Dio con i doni della Parola e della conoscenza, che è conoscenza di Dio, del suo piano di benedizione, della sua fedeltà. Questi doni nutrono e sostengono la comunità per vivere salda, giorno dopo giorno, nella fiducia e nella comunione con il Padre, fondata sulla testimonianza del Messia.

8 dicembre
Immacolata Concezione

Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te

Gen 3,9-15.20
Sal 97
Ef 1,3-6.11-12
Lc 1,26-38

La narrazione di Gen 3 illustra in modo paradigmatico la responsabilità umana nell’irruzione del male nel mondo creato da Dio. Il cedimento a un’avidità animalesca che si insinua nella coppia umana, porta l’uomo e la donna ad agire in modo egocentrico allontanandosi gravemente da Dio. Quest’azione di ribellione innesca una catena di accuse e contrapposizioni (contro Dio, l’uno contro l’altra) che infrange l’armonia delle relazioni e la bontà impressa da Dio nella creazione e manda in frantumi l’immediata intimità con Dio con l’autoesclusione umana. Nondimeno, malgrado tutte le conseguenze negative che tale deviazione comporta nel mondo, e la minaccia che sempre incombe del sopravvento della tendenza al male nel genere umano, Dio custodisce l’umanità e annuncia che la discendenza della donna schiaccerà le inclinazioni malvagie con una vittoria definitiva.

La comunità cristiana leggendo questa pagina alla luce del Risorto, ha visto nella discendenza della donna, Gesù, colui che ha sconfitto il male, e dona la forza ai suoi discepoli per ottenere la stessa vittoria. E la donna è Maria, la madre di Gesù, che in tutto ha partecipato alla vittoria del Signore sul male e il peccato. Così contemplando le meraviglie della vittoria sul male, che Dio ha realizzato attraverso il Messia, la comunità ecclesiale in questa solennità innalza con la vergine Maria, serva del Signore, il canto nuovo (Sal 97) della liberazione e della salvezza.

Il racconto del Vangelo di Luca consente di focalizzare l’attenzione su Maria, una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. A Nazareth Maria riceve lo straordinario annuncio divino che lei sarà la madre del Messia. Nel saluto dell’angelo, denso di significato teologico, si ascolta, innanzitutto, l’invito alla gioia messianica: Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te. In questo invito risuona l’esortazione più volte espressa dai profeti alla comunità fedele di Sion. È la gioia perché il Signore è in mezzo a te, potente salvatore (cf. Sof 3,14-17); perché ha fatto cose grandi e il suo popolo non sarà più confuso (cf. Gl 2,21-27); perché il Signore, il tuo re viene a te, giusto e salvatore (cf. Zac 9,9). Così si tratta della gioia per la vicinanza e l’intimità con il Signore, per l’esperienza della sua salvezza, della sua bontà, del suo amore fedele e che perdona mettendo fine a ogni paura, inimicizia e malvagità. Ora l’invito alla gioia risuona in tutta la sua forza perché la comunità fedele è visitata in Maria, nuova Figlia di Sion, colei che, investita dall’azione dello Spirito Santo, darà alla luce Gesù (il Signore salva), il Figlio di Dio. In Maria e attraverso di lei ora si manifesta la potenza dell’Altissimo per salvare e dare la vita; si manifesta la fedeltà divina al compimento delle promesse, e ancora la presenza, la vicinanza e l’amore di Dio per i suoi servi.

Un altro motivo significativo nel saluto iniziale consiste nel fatto che Maria è chiamata piena di grazia (kecharitōmenē). Maria è colei che è ricolmata dall’amore di Dio, dal suo favore e dalla benevolenza divina. Questo è il nome che rappresenta la sua missione per la quale fin dall’eternità è stata scelta da Dio. E Maria, dinanzi alla proposta divina, risponde oltrepassando ogni esitazione umana e mettendosi, nella completa fiducia, al servizio del Signore per il compimento della parola divina: Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola. Risalta così tutta la grandezza di Maria scelta da Dio e ricolma dell’amore divino che accetta, nella fiducia in Dio, di cooperare al piano divino, facendo spazio nella sua persona al Messia. Maria continuerà a comprendere il significato di tutto questo nelle tappe della vita del suo Figlio, confermando sempre la sua disponibilità per Dio e per l’avvento del regno della salvezza di Dio. Maria ha attivamente partecipato alla vittoria del Cristo sul male per una nuova umanità capace di fidarsi di Dio, di servire il Signore facendogli spazio nella storia. Maria costituisce pertanto, in modo permanente, un modello e un’icona per ogni credente, per ogni comunità di credenti.

Nell’inno protocristiano di benedizione della lettera agli Efesini l’atto di benedizione verso Dio è direttamente correlato all’atto di benedizione ricevuto da Dio in Cristo dai credenti. Nella comunione con Cristo i credenti riconoscono l’iniziativa e l’opera di Dio che li ha scelti, li ha predestinati ad essere suoi figli, e fatti eredi dell’amore di Dio. Lo scopo dell’intero processo è la lode di Dio, della sua presenza e potenza di amore di Padre che li ha raggiunti e redenti attraverso il Messia. Così gli stessi prodigi che il Signore ha compiuto in Maria, sono operanti nella comunità dei credenti nel Messia chiamati e trasformati dall’amore di Dio per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità.

10 dicembre
II domenica di Avvento

Preparate la via per ritornare al Signore che viene

Is 40,1-5.9-11
Sal 84
2 Pt 3,8-14
Mc 1,1-8

La Liturgia della Parola di questa seconda domenica di Avvento guida la comunità a comprendere che l’annuncio della salvezza vicina del Signore che viene deve essere accolto con un cambiamento esistenziale di ritorno a Dio. Non si può essere spettatori della salvezza bensì essa è un evento accessibile nella misura in cui le si va incontro.

La salvezza irrompe per coloro che la invocano e l’attendono, attraverso l’annuncio profetico, come un punto di luce in mezzo all’oscurità. Nella prima lettura dal libro di Isaia, la buona notizia, inaudita, che il profeta deve gridare, perchè tutti ascoltino, è quella della manifestazione del Signore che viene con potenza per salvare il suo popolo operando la liberazione e il perdono: la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata (Is 40,2). La salvezza ha inizio concretamente proprio attraverso questa parola profetica che consola (cf. Is 52,7-10) e «parla sul cuore», un’espressione di intimità sponsale. Il Signore viene nella voce profetica che, se è accolta, prepara la via nel deserto verso la libertà. Il popolo, infatti, è diventato come un deserto, inaridito per il lungo esilio, che consiste innanzitutto nella sua lontananza da Dio. Ma ora attraverso la parola annunciata dal profeta, che ha la forza di trasformare e di rimettere in cammino, Dio conduce il suo popolo nella direzione della redenzione e della vita. Tuttavia la parola di Dio può operare ciò che annuncia se è ascoltata e accolta da parte umana.

La risposta positiva in tal senso viene espressa, in questa Liturgia della Parola, nel Salmo 84. In esso, la comunità liturgica si apre con fiducia e va incontro al Signore che viene: Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore; egli annuncia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli […]. Si, la sua salvezza è vicina a chi lo teme (Sal 84,9-10). Nel volgersi a Dio della comunità, si amplifica l’annuncio della salvezza che qui è identificata con lo shalom divino, una condizione di completezza, di interezza nella realizzazione delle potenzialità di vita a cui aspira tutta l’esistenza umana. Inoltre si esprime la certezza della vicinanza dell’azione salvifica e dell’affermazione permanente della presenza divina con i sui beni in mezzo al suo popolo.

Nella storia della rivelazione la buona notizia decisiva dell’avvento della redenzione e del mondo nuovo divino è quella del Messia: Gesù, Cristo, Figlio di Dio (Mc 1,1), che tutto il Vangelo di Marco non fa altro che annunciare, fin dal suo inizio. Giovanni Battista fu mandato come profeta ed è rappresentato con le peculiarità di Elia che, secondo la tradizione (cf. 2 Re 1,8; Mal 3,23), sarebbe stato precursore del Messia. Giovanni annuncia la venuta del Messia e pratica un battesimo di pentimento per il perdono dei peccati riconducendo coloro che erano lontani alla salvezza e alla liberazione messianica. Le parole e i gesti di Giovanni ricevono un’interpretazione profetica con la citazione dell’annuncio sul profeta mandato a preparare nel popolo la via al Signore che viene con la sua salvezza (Is 40,3-4). L’attività penitenziale di Giovanni pertanto si comprende più in profondità nella prospettiva della consolazione per la buona notizia della redenzione del Messia. Essa, inoltre, insegna che accogliere l’annuncio colmo di speranza della salvezza messianica richiede un concreto cambiamento nell’agire umano, un nuovo orientamento dell’esistenza a Dio. Il decisivo ritorno Dio è la via per la quale si va incontro al Signore che viene nella rivelazione della sua gloria, della sua presenza e potenza redentrice messianica.

Il passo della seconda lettera apostolica di Pietro esorta la comunità cristiana a non considerare la prolungata attesa per la venuta ultima del Signore un ritardo. Piuttosto, il tempo di Dio è diverso da quello umano (cf. Sal 90,4), e la dilazione, agli occhi umani, della parusia è un tempo in cui si manifesta la pazienza di Dio per l’umanità. È un tempo dato perché ogni persona si penta e faccia ritorno a Dio, per diventare partecipe della gioia della salvezza. La comunità dei credenti, vivendo di continuo nella santità delle azioni secondo le vie di Dio e nella preghiera, diventa nella storia una comunità profetica che è protesa e affretta l’avvento di cieli nuovi e terra nuova (cf. Is 65,17; 66,22; Ap 21,1) nei quali la giustizia avrà stabile dimora.